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CRONACA DELL'INCONTRO
Economia di guerra e spese militari
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Per iniziativa del Forum trentino per la pace e i diritti umani, del settimanale diocesano Vita trentina, dell'Arcidiocesi di Trento, del Movimento nonviolento, del Centro «Pace ecologia diritti umani» di Rovereto, di IPSIA del Trentino si è svolto il 4 aprile 2025 presso il Polo culturale «Vigilianum» a Trento l'incontro su «Economia di guerra e spese militari. Iniziative della società civile per un'Europa di pace». Sono intervenuti GIORGIO BERETTA, analista di OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere) e della Rete italiana pace e disarmo, e SILVIA VALDUGA, vicepresidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani. Ha portato un saluto l'arcivescovo di Trento, LAURO TISI. L'incontro è stato moderato da MARIANNA MALPAGA. 

Giorgio Beretta ha mostrato l'esistenza di una tendenza di pensiero che dà per scontata la necessità (e a volte anche l'urgenza) della guerra come modalità di risoluzione del controversie internazionali. Il linguaggio della comunicazione di massa è sempre più intriso di termini militareschi e c'è chi sostiene che anche la scuola debba tornare a formare dei piccoli soldati, intrisi di ubbidienza cieca e di determinazione alla violenza.

Gli stessi vertici dell'Unione europea sembrano convinti dell'ineluttabilità della guerra ed auspicano una «transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza». Gli esempi sono tanti: Von der Leyen, Michel, Kallas, Kubilius… Per non parlare del piano ReArm Europe.

 In realtà non è chiaro contro chi dovrebbe rivolgersi tutta questa voglia di combattere o quali siano i pericoli incombenti. Dal punto di vista degli armamenti convenzionali e del numero di soldati, i Paesi europei sono decisamente superiori alla Russia, se è da quella parte che deve provenire la minaccia. Nel complesso la spesa militare europea supera di ben il 58% quella russa.Neppure sembra che la produzione militare possa cambiare le sorti delle economie continentali: il suo peso rispetto all'intero sistema economico è decisamente marginale. Lo stesso Governatore della Banca d'Italia è convinto che «produrre armi non favorisce la crescita economica».

C'è un unico deficit tra Europa e Russia ed è quello nucleare. Ma è davvero lì che si vuole arrivare? Sarebbe una follia, come già scrisse Giovanni XXIII nell'enciclica «Pacem in terris» del 1963, oltre 60 anni fa: «In un tempo come il nostro, che si caratterizza come era atomica, è totalmente irrazionale (alienum a ratione) ritenere che la guerra possa essere lo strumento adatto a ristabilire violazioni del diritto».

Anche a livello italiano si lascia sempre più spazio al commercio di armi. In questo momento è in discussione in Parlamento una serie di modifiche alla legge n. 185 del 1990, che ha consentito fino ad ora quantomeno una certa conoscenza su quanto avvenire in questo settore, spesso ambiguo e misterioso. Se la proposta di legge andrà in porto, molte informazioni importanti per i cittadini (ad esempio la lista delle «banche armate» e la destinazione delle armi) non saranno più disponibili.

È toccato poi a Silvia Valduga parlare delle iniziative della società civile per un'Europa di pace. Ha anzitutto presentato il Forum per trentino la pace e i diritti umani, organo istituito con legge provinciale nel 1991, che raccoglie un'ottantina di associazioni operanti su questi temi.

Ha insistito sulla necessità del protagonismo dal basso, partendo dalla convinzione di ciascuno di noi nel volere un mondo di pace. Ciò vale sia nel rafforzare l'opinione pubblica per renderla capace di fare pressione su chi prende le decisioni politiche sia nel sostenere le persone che vivono nelle aree interessate dai conflitti. Nel primo caso si opera nella comunicazione ma si offre anche sostegno a chi rifiuta la collaborazione, come gli obiettori di coscienza. Nel secondo si interviene per lenire gli strascichi di odi, vendette, contrasti che sempre la guerra dissemina, fino a causare veri e propri disturbi mentali.

L'arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, è intervenuto per esprimere la propria preoccupazione e la volontà di fare qualcosa in una situazione molto delicata come quella che stiamo vivendo. Ha detto di aver affidato al settimanale diocesano Vita trentina il compito di essere un centro di documentazione e di promozione della cultura di pace. Come succedeva quando la dirigeva don Vittorio Cristelli, che è stato ricordato con affetto. 

Ha rimarcato l'importanza del protagonismo della base, del coinvolgimento diretto dei cittadini e delle cittadine, della costruzione di una democrazia reale. E ha portato ad esempio quanto avvenuto pochi giorni fa nell'assemblea sinodale italiana, composta dai vescovi e da un buon numero di laici: il documento conclusivo di un lavoro che negli ultimi due anni ha interessato tutta Italia è stato bocciato dall'assemblea. Un evento mai successo a livello ecclesiale, che viene salutato come segnale di rinnovata volontà di assumere responsabilità e di saperle sostenere.

In effetti, è il ragionamento dell'arcivescovo, oggi la democrazia si è ridotta a pura forma, manca il senso di appartenenza e la voglia di partecipare. Non c'è più la volontà di capire, di pensare, ci si limita ai luoghi comuni. Nella storia queste condizioni sono sempre state l'anticamera della dittatura. Sarà anche per questo che tutti auspicano il ritorno in salute di Papa Francesco: in assenza di veri leader politici, è lui il punto di riferimento. Lui ci esorta all'indignazione, rifuggendo dal «pensiero semplice», tanto caro a tutti gli autoritarismi e i populismi.

È indispensabile che ci si convinca che ognuno ci deve mettere del suo! A cominciare da se stesso/a: l'idea della guerra è entrata «dentro» di noi (nel linguaggio, negli atteggiamenti, nel pensiero), ne siamo ormai assuefatti: dobbiamo disarmarci e diventare costruttori di pace.

L'arcivescovo è così convinto di questa urgenza che si dichiara disponibile a «dare una mano» in prima persona quando fosse necessario.

In conclusione è stato ricordato il prologo allo statuto dell'ONU, perché oggi gli Stati sembrano averlo dimenticato e si muovono in direzione opposta: sta a noi, cittadini e cittadine, riportarlo in vigore con il nostro impegno diretto:

NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE, DECISI
a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità,
a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole,
a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti,
a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà,

E PER TALI FINI
a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l'uno con l'altro in rapporti di buon vicinato,
ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale,
ad assicurare, mediante l'accettazione di principi e l'istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell'interesse comune,
ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli,

ABBIAMO RISOLUTO DI UNIRE I NOSTRI SFORZI PER IL RAGGIUNGIMENTO DI TALI FINI. 

Lo sforzo ora deve essere educativo ed animativo: come non ricordare il pensiero e l'azione di Paulo Freire, il cantore della «pedagogia degli oppressi»? Il suo approccio è una proposta concreta di attivazione e di sensibilizzazione.

 

IN ALLEGATO:
- UN'INTERVISTA ESCLUSIVA A GIORGIO BERETTA;
- L'ARTICOLO USCITO SU «IL T QUOTIDIANO» del 5 aprile 2025;
- LA CRONACA SU «VITA TRENTINA» del 13 aprile 2025.

Altri appunti sull'incontro sono pubblicati qui.

[Questa notizia è stata pubblicata il 7/4/2025]


Autore

GG