
Abbiamo posto alcune domande sul referendum «cittadinanza» a Maja Husejic, coordinatrice del comitato trentino per il referendum.
Quali sono i dati di fatto che hanno portato alla richiesta del referendum abrogativo sulla cittadinanza?
Un'opportunità storica si profila per l'Italia, un'occasione per allinearsi ai maggiori paesi europei e riconoscere pienamente chi, da anni, contribuisce alla crescita del nostro Paese. Stiamo parlando di un referendum che propone una modifica semplice, ma dal profondo impatto: ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza legale richiesti per avanzare domanda di cittadinanza italiana. Una volta ottenuta, la cittadinanza sarebbe automaticamente estesa ai figli e alle figlie minorenni.
Questa revisione legislativa rappresenterebbe una svolta decisiva per la vita di circa 1,5 milioni di persone di origine straniera. Sono individui che in Italia non solo nascono e crescono, ma che qui vivono, lavorano e contribuiscono attivamente alla nostra economia e società. Non si tratta di un'astrazione, ma di un riconoscimento concreto per chi è già parte integrante del tessuto italiano.
Come Rete nazionale di persone che si sentono italiane ma sono senza cittadinanza e come Comitato provinciale per la riforma della legge sulla cittadinanza, promuoviamo dei principi molto chiari: la cittadinanza è e deve essere un diritto non una concessione arbitraria e insieme vogliamo stare dalla parte giusta della storia.
Siamo consapevoli, però, che diminuire gli anni per richiedere la cittadinanza italiana attraverso un referendum è solo un inizio e non la meta di una riforma non prorogabile. Sarà anche un chiaro segnale per la politica che la riforma deve essere posta all'ordine del giorno e non certo archiviata perché 'non è una priorità' per il Paese. Questa mobilitazione e il raggiungimento dell'obiettivo di raccolta in soli venti giorni è un messaggio inequivocabile: i diritti sono la priorità.
Il successo del futuro referendum penso dipenderà da quante persone torneranno a esprimersi in una cabina elettorale, con la consapevolezza che più di un milione di persone loro concittadini non hanno il privilegio di astenersi, non avendo il diritto al voto. Come Comunità abbiamo il dovere nei confronti di tutte quelle persone, nate in Italia ma senza il diritto al voto, di esprimerci per chi non può.
Quali conseguenze avrebbe la vittoria del sì, con la riduzione dei tempi di residenza per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana?
Oggi, per migliaia di giovani e adulti, la mancanza di cittadinanza italiana si traduce in una serie di diritti negati e opportunità mancate. Immaginate di non poter partecipare agevolmente a percorsi di studio all'estero, di non poter rappresentare l'Italia nelle competizioni sportive senza restrizioni, di non poter votare o accedere a concorsi pubblici come tutti gli altri cittadini italiani. Sono limitazioni che ostacolano la piena realizzazione di questi individui e, di conseguenza, della nostra intera società. Per non parlare di fratture interiori rispetto a questioni sensibili e importanti come senso di identità e appartenenza ad una comunità ad un territorio...
Il referendum non è solo una questione di giustizia sociale; è un investimento strategico nel futuro del Paese. I maggiori paesi europei hanno già compreso che promuovere diritti, tutele e opportunità garantisce ricchezza e crescita per l'intera nazione. Una piena integrazione di chi vive e lavora qui da anni significa stimolare la partecipazione civica, favorire lo sviluppo economico e rafforzare il senso di appartenenza.
Dare la cittadinanza a chi è già 'figlio e figlia d'Italia' non è un favore, ma un riconoscimento. È un passo avanti per un'Italia più inclusiva, dinamica e in linea con i valori europei. È il momento di permettere a queste persone di esercitare pienamente i loro diritti e di contribuire con ancora maggiore forza al progresso del nostro Paese.
Quali sono i valori etici e civici del sì al referendum sulla cittadinanza?
La questione della cittadinanza è al centro del dibattito politico da diverso tempo. La frustrazione da anni è tanta e tante sono le occasioni mancate. In primo luogo perché il dibattito è prevalentemente schiacciato sul tema della sicurezza e dell'immigrazione più recente, ma anche perché c'è chi ci vorrebbe invisibili e rassegnati, chi non accetta la realtà dei fatti, il fatto che noi ci siamo e non andremo da nessuna parte (perché questa è anche casa nostra) e che abbiamo aderito alla migliore tradizione sociale italiana: essere cittadini e cittadine attivi, lottare per i diritti civili e impegnarci per una società più equa, per una reale cultura della pace, che senza giustizia e diritti è impensabile. Come reti abbiamo promosso iniziative pubbliche, ciascuna nel proprio territorio, progettualità, abbiamo investito energie nella comunicazione online e offline, elevandoci sempre più a protagonisti, passando dalla rappresentazione alla rappresentanza.
Quali sono le ragioni del tuo impegno personale per questo referendum?
Quando, al di là della vicenda personale, ho realizzato che la questione ha una portata enorme sulle vite di tante persone nate e cresciute qui, in quanto ostacolo all'uguaglianza e a quello che la Costituzione italiana nell'articolo 3 definisce il 'pieno sviluppo della persona umana'. L'Italia - la nostra 'Cara Italia', per citare Ghali - fatica ad adattarsi ai cambiamenti sociali avvenuti, rifiutando di riconoscere un diritto basilare, come appunto la cittadinanza, a centinaia di migliaia di persone.
Certo la possibilità esiste, bisogna attendere almeno un decennio senza lasciare mai l'Italia per più di sei mesi, attendere la maggiore età, avere i requisiti economici e poi aspettare che arrivi la concessione, perché abbiamo una legge che si basa sul 'diritto di sangue', per altro scelto decenni fa perché l'Italia fu terra di emigrazione e quindi per tracciare una connessione con i discendenti degli emigrati italiani. (È notizia di questi giorni che il governo italiano ha ridotto anche questa possibilità).
Ma oggi questo impianto è assurdo e desueto. Faccio un esempio pratico: puoi acquisire la cittadinanza per discendenza o filiazione anche se vivi da tre generazioni in Brasile, richiedendola direttamente in loco, senza essere mai stati in Italia. Invece se nasci, vivi e cresci in Italia devi aspettare una concessione dello Stato e dimostrare di avere le carte in regola.
Io lavoro nel sociale, in una associazione della mia città che si occupa primariamente di accoglienza e servizi per persone immigrate, e so quanto impegno e quanta fatica (sia dei servizi che delle famiglie) si fa per promuovere la cittadinanza attiva e le pari opportunità nelle scuole, nei quartieri, nei centri di aggregazione. Ma poi più di un milione di persone si trovano a vivere una discriminazione istituzionale, non hanno il diritto al voto o di esprimersi in un referendum, per l'appunto.
Mi sconvolge il fatto che mia figlia cresca in un paese i cui governanti trovino giusta e legittima una situazione del genere.
[Questa intervista è stata realizzata e pubblicata il 26/5/2025]
Foto: Internet.