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REFERENDUM 2025
Siamo ancora le pecore nere della nazione
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20 anni fa ha fatto la sua apparizione negli scaffali delle librerie la raccolta di racconti Pecore nere (Laterza) curata da Emanuele Coen Thau e Flavia Capitani con racconti di Gabriella Kuruvilla, Ingy Mubiayi, Laila Lily-Amber Wadia e miei.

Pecore nere, dopo Nero di puglia di Antonio Campobasso, è stato tra i primi a mettere al centro - oltre che uno stile - dei contenuti precisi: abbiamo parlato di italianità, cittadinanza, identità, razzismo, resistenza. 

Dal 2005 il volume è stato stampato ininterrottamente. Naturalmente ci siamo interrogate sul perché. Come mai continuava a essere letto, adottato dalle scuole (non solo in Italia, ma anche in Germania), tradotto (i racconti insieme o singolarmente sono stati tradotti in inglese, tedesco, persiano, russo, arabo, portoghese ecc.), studiato (non solo in Italia) e amato. 

Poi abbiamo capito. Il motivo è che i temi messi sul tappeto nel 2005 erano drammaticamente uguali nel 2025. E questo è davvero spaventoso. Ci siamo rese conto che sì, lo stile, il ritmo, sono rimasti freschi, ma che la gente in questi 20 anni si è avvicinata al volume perché nulla è stato risolto. La legge sulla cittadinanza non pervenuta. Rappresentazione non pervenuta (l'Italia rimane monocolore in molte sue rappresentazioni). Razzismo a tratti peggiorato perché diventato ideologico. 

Tutto questo è molto triste. 

Riempie di amarezza constatare questo anno dopo anno. Capire che sei ancora la pecora nera della nazione. Titolo forte, controverso, politicamente scorretto, grande intuizione di Emanuele Coen che di margine ne sa moltissimo. 

Quindi - capite - il referendum non mi ha meravigliato. Come non mi ha meravigliato constatare l'ostilità verso questa legge non solo da destra ma anche da sinistra.

In questi anni ci sono stati momenti in cui c'era meno ostilità, meno ideologia, verso la cittadinanza. Purtroppo va detto la politica non ha mai voluto davvero portare a casa questa legge, nemmeno nei momenti favorevoli (che pur ci sono stati!). Generazioni sono invecchiate in piazza, ma anche nei palazzi (molti attivisti hanno fatto lavoro parlamentare, andando costantemente a intessere un dialogo con i politici) qualcuno di chi ha lottato 20 anni fa oggi non c'è più. 

Come ha detto una volta un esponente della Lega che ho ascoltato in Senato mentre ero seduta sugli scranni di Palazzo Madama per un'audizione sulla legge: noi di destra blocchiamo la proposta di legge (era sul tavolo una proposta in quel momento) con innumerevoli emendamenti, ma voi di sinistra non fate veramente nulla per ottenerla davvero. Ecco: quel leghista, devo ammetterlo, aveva detto una triste e amara verità. Sotto gli occhi di tutti. Non si è fatta mai (né allora, né dopo) una vera una battaglia politica sulla cittadinanza. Nemmeno in tempi in cui l'opinione pubblica era più favorevole al tema.

Io sono arrivata all'amara conclusione che la mancata legge sulla cittadinanza per i figli della migrazione, ma anche delle persone migranti, non è colpa solo della destra, ma colpa soprattutto di un progressismo che ha sempre avuto varie paure e vari pregiudizi. Progressismo che non ci ha mai creduto davvero. E che si è limitato a agitare questa bandiera per fare vedere di essere tra i buoni, ma poi che sotto sotto non ha fatto mai azioni concrete, decisive. Anzi conoscendo il proprio elettorato ha deciso di non forzare la mano. Parlare sottovoce. 

Fateci caso: anche in questa campagna referendaria a darsi da fare sono stati i figli della migrazione. La politica ha guardato senza fare poi moltissimo, qualche esponente politico anche di spicco si è speso certo, ma erano pochini a farlo davvero, con il cuore. E così è arrivata un'altra tegola. Dando a questi ragazzi e questi adulti un'ennesima delusione che si somma alle precedenti.

Il quesito referendario, poi (mi sento di dare ragione al direttore de Il manifesto) fatto così era inutile. Un sicuro schiantarsi com'è stato infatti. Io sono convinta da tempo che questa legge non può essere condotta con slogan vuoti, battaglie politiche mosce. Deve invece essere condotta con concretezza. Realtà. E impegno vero. Tutto poi deve essere accompagnato da un lavoro culturale enorme e da una pedagogia antirazzista. Soprattutto da agire nell'area che si considera progressista, ma che sui temi della migrazione, della cittadinanza, ha posizioni non così diverse sotto sotto dalla destra identitaria. Solo che fa finta di non essere così. 

Purtroppo lo sappiamo: Il pensiero coloniale, escludente, è trasversale, non conosce destra e sinistra. Il razzismo è sistemico. E a questo va aggiunta la struttura del paese. Una struttura familista, bloccata, per pochi. Il dato dei giovani che lasciano il Paese (tra loro tanti sono i figli della migrazione) è da sé un dato che urla. 

Che fare? Io ricomincerei dalla pedagogia. E sì, dalla narrazione. Infatti ci servono leggi, ma deve esserci anche una narrazione diversa del paese (dalla scuola ai film) che fotografi come siamo realmente e spieghi cosa possiamo diventare insieme. Il nostro è un Paese conservatore e nostalgico. Un Paese che ha molta paura del futuro. I migranti e i figli di migranti oltre che presente sono incarnazione del futuro. Ed è questo futuro che va messo al centro della politica. Ma non con referendum mosci. Ma con i corpi, i pensieri, i sogni, un ideale di società. Insomma con un'etica gramsciana che va recuperata. Ce la faremo? 

Vorrei dire di si. Ma in realtà non lo so.

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Igiaba Scego (Roma, 20 marzo 1974) è una scrittrice italiana di origine somala. Presente spesso ad eventi in Trentino.

 

[Questa notizia è stata pubblicata l'11/6/2025]
Foto: www.flickr.com.

 

 


Autore

Igiaba Scego


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