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COSTRUIRE LA PACE PARTENDO DAI COMUNI
Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace
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«Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Ci rendiamo sempre più conto che non si tratta solo di istituzioni politiche, nazionali o internazionali, ma è l'insieme delle istituzioni - educative, economiche, sociali - ad essere chiamato in causa»: è uno dei passaggi più significativi del discorso di papa Leone XIV nell'incontro dello scorso 30 maggio con i movimenti per la pace e il disarmo ad un anno dall' Arena di pace, voluta da papa Francesco a Verona.

Affermazione che non solo ribalta l'obsoleto, falso e illusorio mantra del se vis pacem para bellum, del quale sono fanatici fondamentalisti i decisori nazionali e internazionali, e i loro chierici mediatici, ma riconduce alla responsabilità di tutti la costruzione di prassi di pace per il superamento dei sistema di guerra.

Ed è di questi giorni anche l'inedito attivismo per la pace di diversi amministratori locali: dalla convocazione della Marcia Save Gaza, da Marzabotto a Monte Sole, significativamente nei luoghi dell'eccidio nazista, voluta dalla sindaca Valentina Cuppi per il prossimo 15 giugno, alle dichiarazioni di 'interruzione delle relazioni istituzionali' con il governo israeliano espresse dai presidenti delle regioni Puglia, Michele Emiliano, ed Emilia Romagna, Michele De Pascale, seguiti da diversi sindaci dei rispettivi territori. Mentre parteciperemo alla marcia Save Gaza e vedremo come si declineranno concretamente i boicottaggi delle Regioni al governo genocida di Israele, è utile qui evidenziare il ruolo strutturale e continuativo che anche le istituzioni locali possono mettere in campo per preparare la pace, esattamente sui piani educativo, economico e sociale esplicitati da Prevost.

Il punto di partenza è considerare la pace non come mera assenza di guerra (pace negativa), ma come costruzione delle condizioni per la sua preparazione e manutenzione (pace positiva). La degenerazione bellica dei conflitti è solo la punta dell'iceberg di un sistema di guerra che prepara e legittima questo esito: è il punto di esplosione di una lunga e articolata filiera di guerra. Rispetto alla quale se le Regioni e le altre istituzioni locali non possono fermare direttamente la violenza una volta avviata, possono invece contribuire attivamente a decostruirne la filiera, non sull'onda dell'emozione temporanea ma strutturalmente e culturalmente, ed a costruirne le alternative. Non solo, peraltro, nell'interesse generale della pace, ma anche di quello specifico dei propri cittadini, visti i numerosi tagli ai trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali per alimentare le crescenti spese militari.

Le azioni che le istituzioni locali possono mettere in campo, in modalità non occasionale ma continuativa, sono molte, sia a livello di Comuni che di Regioni e possono dare sostanza e coerenza alle diverse 'deleghe alla pace' che si vanno diffondendo. Sul piano economico, per esempio, si possono monitorare le attività industriali che nei diversi distretti contribuiscono alla produzione, diretta o indiretta, di armi e sostenerne i percorsi di riconversione civile - ostacolandone quelli contrari - con l'istituzione di peace list virtuose e premianti; istituire fondi locali, di concerto con i sindacati, per supportare i lavoratori che decidessero di fare obiezione di coscienza all'industria bellica; adottare codici etici war free per gli appalti pubblici, le sponsorizzazioni e le collaborazioni, sotto qualunque forma. Oltre che aderire alle campagne nazionali per il disarmo e l'economia di pace, anziché per il riarmo e l'economia di guerra, promuovendole sui territori.

E poi sono molte le azioni possibili e necessarie sui piani culturale e formativo. Per citarne solo alcune: sottoscrivere protocolli con gli Uffici scolastici regionali per arginare il processo di militarizzazione della formazione e, invece, promuovere e finanziare percorsi di educazione alla pace nelle scuole di ogni ordine e grado e di formazione alla nonviolenza per gli insegnanti; organizzare nei luoghi della memoria tragica della guerra del nostro Paese - da Monte Sole a Sant'Anna di Stazzema - soggiorni estivi di training per la risoluzione nonviolenta dei conflitti con gruppi misti di ragazzi provenienti dai paesi in guerra. Inoltre, Comuni e Regioni potrebbero farsi direttamente promotori di Scuole e Accademie di pace, anche in collaborazione con la Rete delle Università per la Pace (Runipace), per promuovere la ricerca e la formazione alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, su tutte le scale: dal locale all'internazionale.

Infine, contribuire a costituire corridoi umanitari per i profughi dai paesi in guerra e strumenti di protezione delle vittime, prevedere percorsi di supporto nell'accoglienza dei rifugiati che ne portano il trauma, favorire nei territori esperienze di dialogo tra comunità originarie da paesi in conflitto armato e adoperarsi per il riconoscimento dello status di rifugiati ad obiettori di coscienza e disertori di tutti i fronti. Si tratta solo di alcuni, ma fondamentali, esempi di come le istituzioni locali, che volessero davvero mettere in campo non retoriche ma politiche attive di pace, potrebbero agire pratiche di nonviolenza secondo il nuovo principio, razionale, realistico e universale: se vuoi la pace, prepara la pace. Ovunque.

(Articolo pubblicato su I blog del Fatto Quotidiano)

 

[Questa notizia è stata pubblicata l'11/6/2025]
Fotografia: https://pasqualepugliese.wordpress.com


Autore

Pasquale Pugliese


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