
Sul muro della mia sinagoga sono incise alcune parole tratte da uno dei versetti più celebri (e meno compresi) della Bibbia: «Ama il prossimo tuo come te stesso».
L'adagio, come un dolce invitante, esprime la buona coscienza delle religioni monoteiste: ci si compiace di tale affermazione come per convincersi che, in fondo, ci si vuole solo bene. È affascinante, ma sappiamo che queste parole non hanno mai impedito a nessuno di ricorrere alla violenza, all'intolleranza o al proselitismo. L'altro ha certamente tutto il nostro amore, finché è il «nostro»prossimo, ma nel momento in cui si fa un po' lontano dalle nostre credenze o convinzioni, merita ancora la nostra attenzione?
Il fenomeno non è solo delle religioni. Ascoltate tanti discorsi attuali, polarizzati all'estremo. La diffidenza è radicale nei confronti del «bastardo» dell'altra parte. E questo è particolarmente vero quando si tratta di discutere del Medio Oriente. Subito ognuno difende il proprio «prossimo» (e solo lui!), e la parola viene censurata... Si tace per evitare di fornire anche la minima munizione al «campo» avversario. Qualsiasi autocritica minaccia
l'unione sacra, diventa tradimento o, peggio, carburante per un nemico che cerca di distruggerci.
Allora zitti! Taciamo piuttosto che fare il gioco di qualche strumentalizzazione. Ne va della sicurezza delle nostre idee o dei nostri figli. Io stessa ho spesso sentito questa ingiunzione al silenzio. A volte ho imbavagliato le mie parole, per evitare che alimentassero le immondizie di coloro che mi minacciano, di coloro che demonizzano e disumanizzano un popolo, immaginando di aiutare così un altro. Ho censurato le mie parole di
fronte a coloro che trovano scuse per un'ondata antisemita qui in nome di una giustizia assente là. Ho sentito dalle loro bocche gli accordi di un odio ancestrale, la melodia di coloro che sono convinti di essere dalla parte giusta della Storia.
Ho taciuto, ma oggi mi sembra urgente riprendere la parola. Voglio parlare in nome dell'«amore per il prossimo» o piuttosto di ciò che questo versetto biblico (così male tradotto) dice veramente. È scritto: «Se sai rimproverare il tuo prossimo» allora: «amerai il tuo prossimo come te stesso». Questo amore non ha nulla di incondizionato o di cieco. Al contrario, nella Bibbia implica aprire gli occhi di una persona cara sui suoi errori e tenderle uno specchio affinché si osservi.
È quindi proprio per amore di Israele che parlo oggi. Per la forza di ciò che mi lega a questo Paese che mi è così vicino e dove vivono tante persone che sento vicine. Per il dolore di vederlo smarrirsi in una disfatta politica e in un fallimento morale. Per la tragedia subita dagli abitanti di Gaza e il
trauma di un'intera regione.
Come molti altri ebrei, voglio dire che il mio amore per questo Paese non è quello di una promessa messianica, di un catasto di proprietà o di una santificazione della terra. È un sogno di sopravvivenza per un popolo che nessuno ha saputo o voluto proteggere ed è il rifiuto assoluto
dell'annientamento di un altro popolo per realizzarlo. È la convinzione, già espressa dai suoi fondatori, che questo Stato debba essere all'altezza di una storia ancestrale e, secondo i termini della sua Dichiarazione di Indipendenza, «tendere la mano» a tutti i paesi vicini e ai loro popoli.
Questo amore per Israele consiste oggi nel richiamarlo a un risveglio di coscienza...
Consiste nel sostenere coloro che sanno che la democrazia è l'unica fedeltà al progetto sionista.
Sostenere coloro che rifiutano ogni politica suprematista e razzista che tradisce violentemente la nostra Storia.
Sostenere coloro che aprono gli occhi e il cuore alla terribile sofferenza dei bambini di Gaza.
Sostenere coloro che sanno che solo il ritorno degli ostaggi e la fine dei combattimenti salveranno l'anima di questa nazione.
Sostenere coloro che sanno che, senza un futuro per il popolo palestinese, non c'è un futuro nemmeno per il popolo israeliano.
Sostenere coloro che sanno che non si placa alcun dolore, né si vendica alcuna morte, affamando innocenti o condannando bambini.
È solo attraverso questo sostegno che si manifesta il vero amore per il prossimo. Non come una promessa ingenua e incondizionata, ma come un imperativo morale che deve preservare l'umanità di ciascuno di noi e consentire al «prossimo umano», ovvero alla generazione futura, di conoscere
qualcosa di diverso dall'odio.
Delphine Horvilleur
Direttrice della redazione di Tenoua dal 2009. Ordinata rabbina al Hebrew Union College nel 2008, è da allora rabbina al MJLF (JEM) a Parigi. È autrice di numerosi libri, tra cui: Euh… Comment parler de la mort aux enfants, pubblicata nel 2025 da Bayard et Grasset.
[Questa notizia è stata pubblicata l 24/6/2025]
Foto: Wikimedia Commons