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INTERVISTA A FRANCESCO VIGNARCA
La gente si accorgerà presto dei soldi finiti in armi
Scarica immagine2025-07-13 Vignarca_dal suo sito

«Uno degli effetti più deleteri dell'aumento della spesa milita­re è che esso sottrae pensiero, risorse e spazio a tutte quelle modalità non armate di gestione dei conflitti e del­le differenze intemazionali. E uno degli aspetti più problematici di que­sto rafforzamento della minaccia in chiave militare». Francesco Vignar­ea, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo, esprime forte preoccupazione per le decisioni prese al vertice dell'Aja. I Paesi NATO si sono infatti impegnati a raggiungere, entro il 2035, un livello di spesa militare pari al 3,5% del PIL per quanto riguarda la 'spesa milita­re pura' (quindi carri armati, aerei, soldati), e un ulteriore 1,5% destina­to a spese per la sicurezza, accessorie e non meglio definite. «Va sottoline­ato», chiarisce subito Vignarca, «che non siamo di fronte a un obbligo vin­colante. Si tratta, infatti, della fir­ma di un documento politico, come tanti altri che l'Italia ha sottoscritto in passato senza che vi fosse neces­sariamente un obbligo di attuazione. Non essendoci un trattato interna­zionale firmato, non esiste alcun vin­colo giuridico che costringa i Paesi a rispettare tali impegni. Questo è un aspetto fondamentale da chiarire».

Che impatto però avrà questa ingente spesa militare sulle casse italiane?
«L'impatto potenziale è molto si­gnificativo, perché non si tratta di una spesa marginale rispetto al no­stro PIL. Considerando solo il 3,5% di spesa militare pura, e ipotizzan­do una crescita aritmetica costante (cioè aumenti annuali uguali) da oggi al 2035, l'Italia arriverebbe a spende­re, nei prossimi dieci anni, poco meno di 700 miliardi di euro in spese milita­ri. Si tratta di circa 220 miliardi in più rispetto a quanto spenderebbe man­tenendo l'attuale soglia del 2%. Se in­vece si considera l'intero 5% (quindi includendo anche la componente ac­cessoria legata alla sicurezza), la spe­sa complessiva nei prossimi dieci anni arriverebbe a circa 970 miliardi di euro, con un incremento di circa 445 miliardi rispetto allo scenario attua­le. Questo significherebbe in media 44 miliardi di euro in più ogni anno».

Ma noi tutti questi soldi ce li abbiamo?
«L'Italia potrebbe anche avere a disposizione tutti questi soldi. Tut­tavia, è evidente che se si vuole de­stinare una quota significativa del bilancio a una nuova voce di spesa, è necessario andare a prendere ri­sorse da qualche altra parte. Il no­stro Paese non si trova in una fase di crescita economica significativa né di aumento del gettito fiscale, an­che a causa del persistente problema dell'evasione. Non siamo solo noi a dirlo: recentemente, la direttrice del Fondo monetario intemazionale, Kristalina Georgieva, ha dichiarato chiaramente che se l'Italia vorrà au­mentare la spesa militare dovrà ne­cessariamente tagliare su altre voci di spesa, siano esse sociali o legate agli investimenti economici. La gen­te, purtroppo, se ne renderà conto sulla propria pelle. Forse il Governo potrebbe scegliere di non aumentare la spesa militare in modo lineare ma di mantenere incrementi minimi nei primi anni, rinviando alla fine del pe­riodo (entro il 2035) l'aumento più significativo».

C'è una minaccia tale da giustificare questa decisione?
«Noi pensiamo che la costruzio­ne della minaccia e la creazione del nemico siano meccanismi funziona­li a spaventare, così da far sembrare sensati e razionali aumenti della spe­sa militare che, in realtà, non lo sono. Per noi, la vera sicurezza è la sicurezza umana: la sicurezza delle persone nel­la loro vita quotidiana, nel loro futuro, nella loro possibilità di vivere in pace. È una sicurezza condivisa, fondata sulla cooperazione tra i popoli, non sulla contrapposizione. Anche se ci mettessimo nei panni di chi ragiona in termini di difesa e sicurezza militare, non potremmo comunque conside­rare il riarmo una soluzione. Questo meccanismo ha portato, negli ultimi 25 anni, a un raddoppio della spesa militare globale».

Come invertire questa rotta?
«C'è l'urgenza di costruire alterna­tive che devono essere innanzitutto concrete e politicamente realizzabi­li. Ma serve anche un'alternativa ide­ale, culturale, di pensiero. Bisogna far capire che la sicurezza non può essere solo armata. Come ha det­to Papa Leone, nell'incontro del 30 maggio con i movimenti popolari per la pace: «Se vuoi la pace, crea istitu­zioni di pace».

intervista a cura di Maria Chiara Biagioni (SIR)
da l'Unione monregalese, n. 27, 9 luglio 2025, pag. 53

 

[Questa notizia è stata pubblicata il 13/7/2025]
Foto: https://www.vignarca.net


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