
Appartengo a una generazione per la quale lo «sterminio degli ebrei» ha rappresentato il fondamento su cui si è costituito il nostro intero orizzonte morale: il male assoluto destinato a segnare, per sempre, il confine invalicabile tra l'inumano e l'umano.
Appartengo a una famiglia per la quale la conservazione della memoria di quell'orrore ha significato, come dovere, l'essenza di una religione civile che aveva nel «Mai più» il proprio primo precetto.
Ricordo i racconti di mio padre, sugli ebrei nascosti sotto la protezione delle armi partigiane nella valle in cui la sua Banda operava, punto fermo a testimoniare la giustezza di quella lotta. Ricordo le passeggiate e gli incontri festivi con Primo Levi, la sua conversazione pacata, la dolcezza di quelle ore, segnate da un velo di tristezza per le sofferenze vissute, e da un intreccio di speranza, che quel ricordo servisse a qualcosa, e di timore, che il mostro potesse tornare a riprodursi.
Per questo il pogrom del 7 ottobre mi aveva colpito con la stessa angoscia dell'avverarsi di una profezia infausta. Ma poi era venuta la lunga, infinita risposta di Israele. E devo dirlo sinceramente, per me quanto accaduto in Palestina da allora - quanto sta accadendo ora - non costituisce solo una tragedia per quel popolo, per quei popoli, al cui dolore partecipo per l'empatia che ci impone il nostro essere «umani». È qualcosa di più radicale, e vorrei dire «personale»: è una catastrofe esistenziale.
Lo sfondamento del mio stesso universo morale, realizzato da chi ne era stato il fondamento. Perché questo è quanto accade, volenti o nolenti, quando in quell'angolo del nostro «Io» che chiamiamo coscienza, siamo costretti a riconoscere, nell'implacabile procedere della macchina da guerra di Israele, i segni terribilmente simili a tutto ciò che si era giurato di non voler permettere mai più. L'uccisione massificata di civili innocenti, donne, vecchi, bambini, colpevoli solo di esistere in quel luogo. La distruzione di tutte le infrastrutture indispensabili alla vita (ospedali, fonti idrauliche, elettriche, scuole, luoghi di preghiera), tutto ciò senza il quale una comunità non può sopravvivere come tale (questo s'intende per «genocidio»). L'affamamento consapevole e voluto di una popolazione, costretta a contendersi a rischio della vita un pugno di farina.
Cos'è, tutto questo, se non un tentativo di «de-umanizzare l'altro»? Di spogliare sistematicamente degli esseri umani della propria umanità per poterne disporre liberamente, riducendoli ad animali (come alcuni ministri d'Israele hanno più volte definito i palestinesi) o a cose, che si possono distruggere o gettar via a propria volontà. «Considerate se questo è un uomo/ Che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per mezzo pane/ Che muore per un sì o per un no».
Non riesco a non sovrapporre queste righe di Primo Levi alle immagini che il televisore porta, ogni sera, nella mia «tiepida casa». E provo un senso disperato di disorientamento. E di vergogna. Non so se tutto questo Male - e questo odio - accumulato in questi mesi potrà essere assorbito dal tempo. Né quanto ne dovrà passare perché carnefici e vittime possano - se potranno - tornare a guardarsi reciprocamente come esseri umani. Certo è che il dolore inferto dai governanti d'Israele alla popolazione palestinese - ma anche l'oltraggio che hanno portato al proprio popolo, la dilapidazione del patrimonio morale accumulato con le sofferenze del passato - appaiono al momento, soprattutto alla luce degli attuali eventi, inespiabili.
E noi? Noi impotenti. Noi ignavi, spettatori di un crimine a cui non si oppone che qualche parola di circostanza. Non resterà questo silenzio complice un marchio di disonore per l'intero Occidente? Primo Levi - ancora lui - aveva inciso su una pietra una poesia dedicata ai suoi due amici Mario Rigoni Stern e mio padre, che come lui - scriveva - avevano sopportato «lo sguardo di Medusa senza lasciarsene pietrificare». E concludeva: «Non si sono lasciati pietrificare dalla lenta nevicata dei giorni». Possiamo dire altrettanto per tutti noi, oggi?
tratto da La Stampa del 25 agosto 2025
[Questa notizia è stata pubblicata il 2/9/2025]
Immagine: www.alzogliocchiversoilcielo.com
Autore
Marco Revelli