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LA RELATRICE ONU
Francesca Albanese: come salvare Gaza
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Parole forti qulle pronunciate da Francesca Albanese il 5 settembre 2025 davanti ad una sala stracolma della Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, Roma. L'incontro, intitolato I saperi nell'economia del genocidio, è stato organizzato dal Comitato Sapienza Palestina, dal CNR contro le guerre e dall'Assemblea precaria universitaria. La Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati ha dedicato, con grande generosità, oltre due ore del suo tempo a rispondere a tutte le domande degli studenti e dei docenti assiepati nell'aula Vittorio Bachelet e nei corridoi adiacenti.

Un unico filo conduttore percorreva tutte le risposte di Albanese: bisogna sì farsi sentire per Gaza, nonostante tutti gli ostacoli che possa frapporre l'Università; bisogna sì boicottare gli accordi già stipulati dall'Università con Israele e rifiutare di collaborare a futuri progetti di ricerca a fini militari o dual use. In una parola, bisogna sempre e ovunque «fare la cosa giusta», ha insistito la giurista italiana - anche se una determinata azione possa sembrare velleitaria. «Alla fine, qualcosa cambierà. E mentre lottiamo, i palestinesi ci vedranno e ci sentiranno vicini».

Certo, ha aggiunto poi la Relatrice speciale, i governi hanno la responsabilità primaria, la cosiddetta Responsabilità di proteggere o R2P. Si tratta della dottrina che giustifica anche l'intervento militare di uno Stato per fermare i crimini contro l'umanità commessi da un altro Stato, in particolare il genocidio e la pulizia etnica - da cui un ipotetico intervento della Marina italiana a Gaza. Purtroppo, ha osservato Albanese con rammarico, Israele sta commettendo sia il genocidio che la pulizia etnica davanti ai nostri occhi, eppure gli Stati terzi rimangono inerti, limitandosi a condanne verbali senza conseguenze. Ecco perché è sempre più importante che i cittadini reagiscano. Qualsiasi tentativo di contestazione o di boicottaggio, comunque vada, richiama i governi alle loro responsabilità.

Molti degli studenti e dei docenti intervenuti all'incontro hanno fatto presente la difficoltà di mettere questi lodevoli principi in pratica. Un ricercatore ha spiegato come, all'Università, la libertà di ricerca è soltanto teorica; nei fatti, solo i progetti di ricerca funzionali al sistema vengono lautamente finanziati. Naturalmente, sì è sempre liberi di condurre progetti di ricerca al di fuori di quelli che interessano i professori-baroni - ma saranno sempre definanziati e, inoltre, condanneranno il ricercatore a non fare mai carriera nell'Università.

«Tutto ciò è vero», ha risposto Albanese, «nell'università c'è una frammentazione e una precarizzazione - funzionale al potere - che rendono difficili le contestazioni. Ma la sfida è quella».

Per quanto riguarda gli insegnamenti offerti dalle Università ai loro studenti, ha aggiunto Albanese, questi corsi tendono «a normalizzare e a legittimare»le narrative dominanti. Viene subito in mente, ad esempio, il colonialismo insegnato come fenomeno del passato mentre quello israeliano attuale raramente viene fatto oggetto di studio: eppure oggi esso viene imposto con devastante crudeltà ad intere popolazioni, le quali vengono spostate con la violenza per consentire a Israele di accaparrarsi le loro terre e di estrarre guadagno a proprio beneficio e a quello dei suoi «facilitatori»(le grandi aziende ma anche il sistema universitario).

Comunque, negli atenei israeliani, ha detto la giurista italiana, la situazione è addirittura peggiore di quella riscontrata in Europa: viene insegnata una storia che cancella quasi totalmente i palestinesi e i loro diritti. «È' significativo», ha aggiunto Albanese, «che nessuna università israeliana abbia mai condannato la distruzione totale, da parte dell'IDF, delle università nei territori palestinesi - tutte e undici».» Come se non fossero mai esistite e non dovessero esistere.

Nelle sue conclusioni, Albanese ha esortato i presenti a non lasciarsi intimidire dagli epiteti denigratori ai quali, se lottano per la Palestina, andranno sicuramente incontro. «Vi chiameranno antisemiti ma è soltanto un modo per privarvi del diritto alla parola. E vi chiameranno terroristi per impedirvi di agire». Non bisogna accettare queste etichette, Albanese ha aggiunto. Com'è deprecabile essere antisemita (ovvero, ostili agli ebrei in quanto ebrei), è più che legittimo e giusto essere antisionisti, cioè, essere contrari all'ideologia politica chiamata sionismo, usata per giustificare il colonialismo israeliano. È anche legittimo e giusto lottare con determinazione contro il diffondersi del sionismo, usando ogni mezzo pacifico. Ciò non va chiamato terrorismo bensì anticolonialismo, un valore sancito dall'ONU.

 

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[Questa notizia è stata pubblicata il 6/9/2025]
Fonte: https://www.peacelink.it

 


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