
Il regista palestinese che vive in Danimarca parla del suo «To a Land Unknown», nelle sale dal 12 novembre 2025. Due cugini palestinesi bloccati a Atene, un quotidiano di violenza.
Esiste un compito più difficile di provare a rendere visibili gli invisibili? Chi vive in un limbo, non ha più casa a cui tornare ma neanche la sicurezza di trovarne una nuova dall'altra parte del mondo. È la storia che con To a Land Unknown (2024) il regista palestinese-danese Mehdi Fleifel ha voluto raccontare, in parte la sua.
Nato in un campo rifugiati in Libano per poi spostarsi in Danimarca, la sua crescita è stata segnata, oltre che dalla profonda passione per il cinema, dalla ricerca delle proprie radici. Due linee che per Fleifel si sono da sempre mosse in parallelo, sin dal suo esordio con il ocumentario A World Not Ours (2012), girato nel campo di Ein el-Hilweh dov'è nato.
To a Land Unknown è, invece, il suo primo lungometraggio di finzione. Fuggiti da un campo profughi in Libano, i due cugini palestinesi Chatila (Mahmood Bakri) e Reda (Aram Sabbah) sono bloccati ad Atene. Il loro sogno è arrivare in Germania e aprire un piccolo bar in un quartiere arabo, ma senza i soldi per un passaporto falso e i biglietti aerei andarsene è impossibile.
In questa terra di mezzo, all'ombra dell'Acropoli, le loro giornate passano all'insegna della sopravvivenza con ogni mezzo, nel tentativo di
racimolare il denaro necessario per partire. Alle loro spalle hanno lasciato moglie, figlia e una madre malata che ogni sera, prima di addormentarsi sulla brandina del piano terra occupato dove vivono, videochiamano dai loro smartphone. Ogni piano fallisce, ma devono andare via in fretta, non possono più aspettare. Rimane solo un'ultima occasione, che però necessita di mettere da parte ogni principio morale e collettivo.
«Non è un film sui rifugiati, ma sugli esuli della propria terra», precisa Fleifel in tutte le interviste. A rendere To a Land Unknown unico nel suo genere è, infatti, la modalità che l'autore ha scelto per veicolare la sua ricerca dell'autenticità, una forma che si dimostra sempre al servizio del contenuto. A controbilanciare i momenti commoventi e riflessivi, un registro narrativo composto anche di attimi di leggerezza e di intrattenimento, senza la paura di svalutare così il proprio delicato racconto, ma al contrario rafforzandolo.
Con lo stesso approccio Fleifel non mostra mai i due cugini protagonisti Chatila e Reda solo come vittime del loro destino, ma anche in tutti i loro desideri, difetti e mancanze. È così che rivelando ogni sfaccettatura dei suoi personaggi, anche il lato oscuro, Fleifel riesce a renderli davvero vivi, reali e quindi umani ai nostri occhi.
To a Land Unknown arriva nelle sale italiane: ne ho parlato al telefono con il regista, Mahdi Fleifel.
Perché ci sono voluti undici anni per realizzare «To a Land Unknown»?
Stavo per laurearmi e rapidamente mi sono reso conto che nel mondo occidentale sono solo i vincitori a poter raccontare le loro storie. Nessuno mi avrebbe mai dato dei soldi per narrare la vita dei palestinesi. Ho deciso così di realizzare il mio primo documentario indipendente, che ha avuto un discreto successo diventando però anche un ostacolo.
Ogni nuovo documentario che realizzavo aveva sempre l'obiettivo di convincere dei finanziatori a farmi realizzare un film vero e proprio. Ma più avevano successo e più, in un certo senso mi si ritorcevano contro. Il cinema è un ambiente avverso al rischio e piuttosto conservatore, tutti mi dicevano: «Sei bravo, perché non continui?». Ormai ero stato etichettato come regista di documentari.
Si era creato poi un altro problema. Ho iniziato a sviluppare To a Land Unknown nel 2013, mentre ero nella residenza di Cannes. Nei due o tre anni successivi il panorama cinematografico ha vissuto un'enorme saturazione di film sui rifugiati e anche per questo motivo nessuno voleva produrlo. Ma io ho continuato a insistere, non lo vedevo dentro a quello che era quasi un «genere».
È un film che cerca il dramma e l'intrattenimento in egual misura. Perché questo approccio?
Perché devi convincere la gente a venire a vedere il tuo film per 90 minuti. E ti trovi a competere con tutti i film mainstream.
Bisogna ricordare che il cinema è anche spettacolo, non puoi permettere che la gente si annoi. Io sono sicuramente una persona che non ha pazienza per il cinema d'autore riflessivo e profondo. E penso che quando fai un film parti sempre dal presupposto di voler creare qualcosa che manca.
Ho voluto combinare il mondo che mi appartiene e che conosco, quello degli esiliati e dei giovani palestinesi bloccati in Europa, con il cinema hollywoodiano degli anni '70, che adoro. Ci siamo riusciti alla fine solo perché abbiamo lavorato in modo estremamente indipendente. Se il film fosse dovuto passare attraverso la classica commissione cinematografica europea lo
avrebbero sicuramente bocciato. Avrebbero detto: «Potete mostrare di più la prostituzione nel parco e di come sia dura la loro vita?». Sicuramente avrebbero detto che c'era troppa trama. Non sia mai, bisogna solo avere film contemplativi oggi.
C'è anche molta letteratura e poesia palestinese: Ghassan Kanafani, Edward Said, Mahmoud Darwish. Cosa rappresentano per te questi autori?
Sono gli autori che ho letto crescendo, i miei insegnanti, le mie guide spirituali. Ogni volta che mi sentivo perso in questo mondo erano lì per guidarmi come una bussola.
A World Not Ours è un titolo che ho preso da Ghassan Kanafani, e il film all'inizio si sarebbe dovuto chiamare come il suo romanzo Man in the Sun. Edward Said è stato il primo a prendermi per mano con Reflection on Exile e a spiegarmi cosa significasse essere un esule palestinese, non avere una terra da poter chiamare casa.
In generale, la poesia palestinese ha sempre trovato molto spazio nel il mio lavoro. Nel film un personaggio recita In Praise of the High
Shadow di Mahmoud Darwish, ma è un'altra sua poesia che ha ispirato il film intitolata The Earth is Closing on Us.
testo di Niccolò Della Seta Issaa
tratto dal sito de Il Manifesto
titolo originale: "Mehdi Fleifel, «racconto la vita dei rifugiati senza paura della realtà»"
aggiornamento: 12/11/2025, 22:27
[Questa notizia è stata pubblicata il 15/11/2025]
Immagine: locandina.