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INTERVISTA
Le parole come habitat di pensieri, relazioni, possibilità
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In questa newsletter abbiamo attraversato tanti paesaggi linguistici: parole che uniscono e parole che dividono, scelte che costruiscono ponti e altre che fanno scintille. Dalle campagne che nascono per cambiare la cultura al linguaggio politico che diventa spettacolo, fino ai silenzi che cancellano interi pezzi di realtà.

Per ricordarci che le parole non sono solo strumenti, ma luoghi, habitat in cui prendono forma pensieri, relazioni e possibilità - abbiamo chiesto un pensiero a Laura Nacci, divulgatrice linguistica e alla direzione della formazione di SheTech, che con le parole lavora come con semi: scegliendole, coltivandole, riportandole alla loro verità più semplice e profonda.

Ultimamente abbiamo assistito a un uso delle parole in politica come arma o spettacolo, ma anche come ponte, come nel caso di Mamdani, che a New York ha costruito consenso con linguaggio semplice, concreto e coerente. Dal tuo punto di vista, cosa rende una parola capace di avvicinare davvero le persone e non solo conquistarle per un click o un applauso?

Metterle al centro. Quando parliamo di comunicazione, invece, anche nelle nostre vite quotidiane, ci concentriamo prevalentemente su quello che abbiamo da dire. Io credo che la stessa cosa accada per tutte le forme di comunicazione, anche quella politica. Nel caso di Mamdani, per esempio, ha saputo raccontare con lingue e linguaggi variegati le storie (vere) delle persone che ha incontrato, in cui molte donne e molti uomini hanno potuto riconoscersi.

Così facendo, ha dimostrato di vedere, accogliere e dare voce alle differenze che compongono la popolazione, una varietà che è insita nella natura umana e che ritroviamo quindi in qualsiasi ambiente.

E poi c'è un tema importantissimo quando si vogliono raggiungere veramente le persone: l'autenticità. Che dev'essere coerente e ben visibile a chiunque.

Per Mamdani si tratta di una “autenticità amplificata”: i suoi messaggi sono arrivati, infatti, al grande pubblico grazie alla spontaneità dei suoi post o video, ma anche a quella delle persone a cui ha delegato parte della campagna politica, che hanno generato il passaparola e che si sono sentite coinvolte.

Riassumendo: contenuti diretti, che interessano e coinvolgono le persone, autenticità e valorizzazione delle diversità. Credo che questo sia un mix da cui tutte e tutti dovremmo prendere spunto, sia nelle comunicazioni interpersonali che in quelle istituzionali e aziendali.

Nei tuoi libri ci ricordi che la violenza sulle donne spesso comincia molto prima dei gesti: negli aggettivi che usiamo, nei modi in cui nominiamo (o riduciamo) l'identità femminile. Negli ultimi giorni le parole di Silvia Salis hanno riportato l'attenzione sull'ipersessualizzazione del linguaggio nello sport. Come riconosciamo aggettivi e registri che finiscono per ferire e normalizzare la disparità? E cosa possiamo fare, concretamente, per ridurne l'utilizzo?

Silvia Salis ha fatto una cosa molto importante e di cui parlo anch'io soprattutto nell'ultimo libro, dedicato agli aggettivi alla base della violenza sulle donne, ovvero ha messo in risalto, anche leggendo gli insulti che le sono arrivati sia in campagna elettorale che dopo, i cosiddetti “doppi standard”. Troppo spesso, infatti, non ci accorgiamo che mettiamo in atto (o subiamo) un linguaggio fatto di “parole di seconda mano”, che abbiamo ereditato, che sentiamo da sempre e che per questo ci suonano familiari, corrette. Il problema è che queste parole possono nascondere secoli di pensiero androcentrico, misogino, raccontando la realtà con “due pesi, due misure”.

Un esercizio molto semplice per individuare il linguaggio discriminante è fare la “riprova”: se sentiamo o leggiamo (o pensiamo) qualcosa che ci sembra “strano”, che ci crea disagio, proviamo a girare il discorso al maschile. Ci suona ridicolo? Assurdo? Allora vuol dire che è in atto un linguaggio sessista o comunque stereotipato, discriminante.

Come uscire da secoli di dissimmetrie (o anche asimmetrie) semantiche di genere? Non è facile e non si può fare dall'oggi al domani, ma sicuramente ognuna e ognuno di noi può iniziare ad allenarsi, nel proprio quotidiano, lasciando andare il pilota automatico con cui ci hanno insegnato a parlare e diventando più responsabili delle nostre parole e delle parole altrui.

dalla newsletter di Parole O_Stili, numero del 10 novembre 2025

 

 

[Questa notizia è stata pubblicata il 6/12/2025]
Foto: Wikimedia Commons.

 


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